13/03/2020

I Valori dello Sport – Intervista a Pasquale Panzarino

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I Valori dello Sport – Intervista a Pasquale Panzarino 

 

Avete mai provato quella sensazione di aver conosciuto una persona dopo aver letto una sua intervista?

 

Soprattutto se, di quella persona, avevate un’idea piuttosto diversa?

Questa intervista, ancora una volta, mi ha insegnato come non ci si debba fermare alle apparenze.

Sarò sincero, soprattutto con Pasquale: il suo atteggiamento, ai tempi della Nazionale, scanzonato e leggero, mi ha sempre dato la sensazione di una persona poco attenta a ciò che stava facendo.

Alla fine però, ha partecipato ad un’Olimpiade, è un imprenditore illuminato e, sopratutto, portatore sano di quei valori che solo lo Sport può insegnarti.

Per farvelo conoscere, partirei dalla fine.

 

Ciao Pasquale. Cos’è Fitrow® e come è nata l’idea?

Si tratta di una nuova forma di movimento che, sono sicuro, diventerà ben presto il nuovo fenomeno di tendenza in Italia per quanto riguarda il fitness e la voglia di tenersi in forma.

E’ un’ attività dinamica che si rivolge a degli utenti con determinate caratteristiche ed esigenze. La potremmo definire una disciplina “high intensity”, poiché sposta su un livello decisamente alto ed intenso il livello di prestazioni fisiche, doti di resistenza, ma anche di dispendio di energie e possibilità di accelerare il proprio ritmo metabolico.
Punta sul potenziamento della propria massa muscolare e sulla possibilità di rendere atletico e modellato il proprio corpo, in poco tempo e con risultati di visibilità immediata. L’allenamento consueto di fitrow® dura circa 45 minuti ed è molto simile alla preparazione degli atleti di alta specializzazione che praticano canottaggio a livello Olimpico o Mondiale. Infatti si tratta di una parte di allenamento che eseguono presso la F.I.C. (Federazione Italiana Canottaggio) durante le estenuanti sedute invernali, attraverso la quale è possibile raggiungere in breve tempo un’apprezzabile preparazione fisica ed apprendere tecniche di canottaggio.
In realtà il fitrow® non è altro che una disciplina propedeutica al canottaggio, che però non prevede vere e proprie gare in barca. Il fitrow®è una disciplina coinvolgente dove lo sport agonistico diviene sinonimo di divertimento. È un nuovo approccio al canottaggio, messo a punto tramite le attività amatoriali, sfatando vecchi stereotipi e leggende metropolitane che circondano gli ambienti dei circoli canottieri mete di blasonati signori di mezza età.
L’idea del fitrow® trova il suo fondamento negli allenamenti federali e societari della nazionale di canottaggio firmata DottLa Mura, che ha prodotto molteplici vittorie Mondiali ed Olimpiche, tra cui quelle dei fratelli Abbagnale.

 

In questa avventura con te c’è Riccardo Dei Rossi, numero 3 del più bel quattro senza senior azzurro, che a Sydney 2000, stava per fare lo scherzo di togliere dal collo la quinta medaglia d’oro alle Olimpiadi a Sir Steve Redgrave. Che rapporto avete e come vi siete divisi i ruoli? E’ venuto spontaneo o ad un certo punto vi siete dovuti dire chi fa cosa per non sovrapporre le vostre competenze.

Conosco Riccardo da molti anni ormai, ricordo che appena approdato nel 1997 in Nazionale era uno dei miei riferimenti, diventammo subito molto amici, ero l’unico che durante i test al remoergometro si sedeva accanto a lui; i suoi valori fisiologici ed i suoi tempi erano pazzeschi ma io sapevo che l’unica maniera di riuscire a migliorare e farmi notare dal direttore tecnico Giuseppe La Mura era quella di sfidare ogni giorno i più forti atleti della nazionale e lui era uno di quelli.

Da allora non ci siamo mai persi di vista e quando gli parlai, nel 2015, dell’idea di trasformare una parte della preparazione olimpica della nazionale italiana di canottaggio in una disciplina del fitness, lui fu subito entusiasta e nel 2016 con l’aiuto del presidente Giuseppe Abbagnale abbiamo creato Fitrow® srls.

Le nostre competenze non si sono mai sovrapposte. Quando l’amore per il canottaggio ed il rapporto di amicizia è così forte viene naturale e spontaneo dividersi i compiti in base alle proprie capacità e competenze.

 

Recentemente hai assunto il ruolo di Direttore Tecnico della Sezione Canottaggio al CUS Bariclub che ti ha visto crescere e che non hai mai abbandonato. 

Quali sono i tuoi compiti e come la tua esperienza da atleta di sta aiutando in questo nuovo ruolo?

Al CUS Bari nel 2019 ci sono state le elezioni e dopo anni, finalmente è stato eletto un presidente vicino allo sport: Antonio Prezioso. Lui agisce supportato da un consiglio fatto di giovani e con la voglia di far tornare il sodalizio barese ai fasti di un tempo; nel consiglio c’è anche la medaglia di bronzo Olimpica Domenico Montrone. Sono stati loro a nominarmi direttore tecnico della sezione canottaggio. Una sezione che ho sempre portato nel cuore e dalla quale non mi sono mai allontanato. Che il canottaggio sia uno sport duro è risaputo, il mio compito, infatti, è proprio quello di trasmettere alle nuove generazioni, l’amore per uno sport dal sapore antico ma tremendamente affascinante. Tutti i miei risultati sportivi sono stati ottenuti con la maglia del CUS Bari ed in questa nuova veste giornalmente mi confronto con giovani canottieri a cui spiego che è possibile raggiungere obiettivi Mondiali ed Olimpici solo con tanto impegno e volontà. Non per nulla il motto del CUS Bari è “Ex nihil per aspera ad multa”.

 

Avere un nuovo punto di vista con le responsabilità che comporta ti ha aperto gli occhi su decisioni che quando eri atleta non comprendevi da parte di chi allora gestiva la sezione canottaggio?

Il nuovo incarico è una sfida sicuramente avvincente ma non priva di grandi responsabilità poiché mi interfaccio con adolescenti che hanno sogni ed aspettative. Le stesse che avevo a sedici anni quando per la prima volta mi avvicinai al canottaggio; all’epoca l’allenatore era Bepy Altamura ed il presidente, Ignazio Loiacono, pilastri fondamentali e uomini straordinari che hanno costruito e realizzato il Centro Universitario Sportivo che conosciamo oggi. Non c’è stata una sola volta che non abbia compreso quello che entrambi hanno fatto per me e per il CUS Bari. Ricordo ancora, con molto affetto, le parole di Don Ignazio: “Pasquà, non cambiare società rimani alla CUSAB (Centro Universitario Sportivo Ateneo Barese) non te ne pentirai.” Così è stato. In Bepy ho trovato un padre capace di costruire l’atleta che sono diventato.

 

Che obiettivi avete a medio e lungo termine?

Il CUS Bari, con il nuovo consiglio direttivo ha l’arduo compito di riuscire a rinnovare il parco imbarcazioni della sezione, infatti da troppi anni non vengono acquistati scafi competitivi. Si sta già facendo molto poiché, ricordando che la sezione canottaggio all’indomani della tragedia che ha visto la scomparsa in mare di Nicola Mangialardi è stata interdetta dall’utilizzo dello specchio d’acqua, dove normalmente la sezione si allenava, il nuovo presidente è riuscito ad ottenere una deroga che ci consente gli allenamenti in mare. L’obbiettivo principale è riportare la sezione competitiva in campo nazionale, e perché no, vestire di azzurro un atleta dei nostri.

 

Nel mentre ti stai laureando in Scienze Motorie. Come gestisci il tempo, le energie e i vari impegni?

Quando mi allenavo durante i raduni con la nazionale c’era Carlo Mornati (attualmente segretario generale del C.O.N.I.) uno dei pochi atleti di vertice che riusciva sia a vogare ad alti livelli che a studiare con risultati altrettanto lusinghieri, ci riusciva perché capace di grandissima concentrazione e forza di volontà. Ho voluto ispirarmi a lui. Nel 2017 spinto dal Dott. Silvio Tafuri, presidente del comitato sport universitario, ho deciso di iniziare gli studi presso la facoltà di Scienze delle Attività Motorie e Sportive dell’università di Bari.

Un percorso non privo di difficoltà, soprattutto per la mancanza di tempo a disposizione, ma fondamentale. La figura del laureato in Scienze Motorie contribuirà alla tutela della salute dei nostri ragazzi, degli adulti e degli anziani di domani. Ora da laureando mi mancano quattro esami alla laurea, un risultato “sudato” ma che mi ripaga dei tanti sacrifici fatti da me e dalla mia compagna Francesca che mi ha supportato dal principio nel mio progetto. Ritengo indispensabile la laurea in Scienze delle Attività Motorie e Sportive, per tutti coloro che vogliono intraprendere la carriera da allenatore.

 

Sei sempre stato una persona vulcanica, sempre pronta a sorridere alla vita anche nei momenti di difficoltà. Può questo da solo a spiegare come tu faccia a coordinare più attività con successo o pensi che lo sport ti abbia aiutato nel saperti gestire?

Non ho mai smesso di allenarmi, ed il canottaggio ha migliorato la mia capacità di concentrazione e, di conseguenza, riesco a coordinare al meglio la sfera del privato e del mio lavoro. Il canottaggio mi ha aiutato ad affrontare situazioni sempre diverse e spesso complesse. Durante le gare, in pochi minuti, cambia l’obiettivo e devi “riprogrammarti” per la nuova sfida. Lo sport migliora anche la capacità di analisi, e ti consente di osservare in modo attento e oggettivo le situazioni. Il canottaggio in particolar modo, allena la resilienza, cioè quella speciale flessibilità, fisica e mentale, che permette di adattarsi e resistere agli urti della vita, grazie alla relazione con gli elementi naturali (clima e condizioni ambientali).

 

La Nazionale va a mille conquistando 1 oro, 1 argento e 2 bronzi. Tu, in due senza, insieme a Luigi Sorrentino, arrivate dodicesimi, dando sempre la sensazione di non essere nella vostra migliore forma. Potevate fare meglio o effettivamente gli avversari erano più forti?

Il 2000 è stato un anno pazzesco poiché sono stato convocato nella Nazionale Olimpica di canottaggio dopo quattro anni di allenamenti estenuanti ed ho anche avuto grandi soddisfazioni: la medaglia di bronzo Mondiale nel ’98, la qualificazione Olimpica del 2 senza nel’ 99, le due medaglie d’argento in Coppa del Mondo nel 2000.

il 2 senza con Luigi quell’anno era il più veloce di tutta l’Italia che rema. Questo il pronostico per i giochi olimpici della testata giornalistica il Tirreno di Livorno: “ Il 4 di coppia senior (Agostino Abbagnale, Rossano Galtarossa, Simone Raineri e Alessio Sartori) e il 2 di coppia pesi leggeri (Elia Luini e Leonardo Pettinari) sono accreditati per l’oro, mentre al 2 senza (Pasquale Panzarino Luigi Sorrentino) viene attribuito un bronzo a Sydney “.
Certo qualcosa è andato storto, in quei giorni infatti, il vento soffiava di tre quarti in senso contrario. Non faceva differenza per nessuno, tranne che a fine percorso, dove c’erano 400 metri di tribune che proteggevano, a scalare, acqua 6, 5, 4. Ecco che allora diventava importante il sorteggio per le corsie, dove a differenza del passato l’attribuzione dei numeri d’acqua era del tutto casuale. Insomma, chi prendeva la corsia 6 stava meglio di chi andava in corsia 1. A noi capitò la corsia 2. Il nostro equipaggio, più tecnico e fisicamente meno imponente di avversari più rozzi, ebbe un grande svantaggio. Certo è, che alla prova di Coppa del Mondo di Lucerna a Luglio 2000, poco più di un mese e mezzo prima dei giochi Olimpici, dove parteciparono quasi tutti gli equipaggi che ritrovammo a Sydney, arrivammo secondi.

 

Come si reagisce a delusioni di questo tipo?

La delusione non è stato possibile evitarla, ha spiazzato e messo a rischio il mio equilibrio, ma sono riuscito a difendermi. Sono riuscito perfino a trasformarla in un trampolino verso nuove sfide e opportunità. Il segreto sta nel conoscere bene se stessi, nel non coltivare aspettative errate e nel non smettere mai di proteggere la propria autostima. Ma anche nel non chiudersi al desiderio mantenendo la voglia di fare e di andare avanti. La ferita è stata direttamente proporzionale all’investimento “sportivo”, all’energia impiegata e, soprattutto, alla speranza che avevamo nutrito.

Bisognava trasformare una delusione in energia vitale. A quel punto mi sono fatto coraggio e attingendo alle mie risorse mentali ho guardato altrove, scegliendo di percorrere altre strade, cercando di rinnovarmi, pensando che farò meglio la prossima volta. Ho trasformato la delusione in slancio vitale senza chiudermi al desiderio, bensì mantenendo la voglia di andare avanti. In me è entrata in gioco l’idea di rivalsa, il fatto di non volermi arrendere agli ostacoli che la vita mi aveva posto davanti. Per me, questo è stato addirittura stimolante, perché mi ha spinto a darmi da fare. La trasformazione della delusione in un processo vitale è la trasformazione del dolore, la sua esaltazione in un atto creativo, dare origine a se stessi, consapevole che si può essere gli artefici della propria vita, da attori e non da spettatori

 

In ogni caso cosa ti ha insegnato lo sport ed il canottaggio che nessun libro potrà mai spiegarti?

Lo sport ed il canottaggio mi hanno insegnato il valore della competizione positiva dettata dal rispetto dell’avversario, dal riconoscimento delle capacità altrui e dall’accettazione delle proprie responsabilità e dei propri errori o limiti. Nello sport il conflitto è un elemento essenziale, rapportarsi con avversari e compagni di squadra, gestire le tensioni, confrontarsi e discutere insieme sono tutte occasioni per mettersi in gioco e per incrementare importanti competenze utili nella vita di tutti i giorni. È solo dalla competizione positiva che nasce la voglia di superarsi e migliorarsi continuamente. Insegnamenti che non troveremo su nessun libro.

 

Come pensi di utilizzare questi insegnamenti nella tua vita, nei vari ruoli che ricopri?

I ruoli che ricopro sono legati all’insegnamento dello sport, e del canottaggio, in questo ambiente cerco di divulgare lo spiccato senso del dovere che l’atleta prende con la sua disciplina non mancando praticamente mai ad allenamenti e gare. La figura che cerco di diffondere è quella di una persona su cui ci si può contare. Il lavoro in team di chi fa parte di un equipaggio è leale e partecipativo. Nel lavoro è una dote fondamentale per poter convivere in armonia con i propri colleghi, compagni di barca o di scuola.

 

Cosa cerchi di insegnare ai ragazzi che si approcciano allo sport e che avresti voluto tu da ragazzino come insegnamento?

Quello che cerco di insegnare è lo stesso principio che mi è stato insegnato dal mio allenatore Ing. Bepy Altamura: si alla competitività nel rispetto dell’avversario. Molti genitori usano lo sport per insegnare a vincere nella vita. Questo approccio deve considerarsi insensato. Se il bambino intende il messaggio (ed è molto facile che lo faccia perché non ancora in grado di sottoporre al vaglio critico gli impulsi che arrivano dai genitori), diventerà probabilmente un violento, un apparente, un furbastro pronto a puntare sempre e soltanto sul risultato. La sua autostima sarà basata solo sui risultati che ottiene e, se non vengono, ecco che diventerà debole, insicuro e fragile.

 

Nei panni dei genitori dei ragazzi che frequentano il CUS Bari, sarei onorato e totalmente tranquillo di affidare l’educazione ed il percorso di crescita di mio figlio nelle mani di cotanto Direttore Tecnico.

Di Edoardo Verzotti

by Rowinteam

 

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